Nel pomeriggio di mercoledì 8 ottobre, l’arcivescovo Alberto Torriani ha presentato alla stampa e alla Comunità diocesana la nuova lettera pastorale per il biennio della Chiesa di Crotone – Santa Severina.
Un testo asciutto, diretto, costruito intorno a un’immagine inusuale ed efficace: l’“effetto domino”.
«È un’immagine riconoscibile da tutti, comunicativamente efficace: il primo tassello dà slancio agli altri. Così è la Chiesa: comunione dinamica»
Così ha spiegato l’Arcivescovo. Una scelta simbolica che dice già molto del taglio del documento: meno ornamenti teorici, più operatività ecclesiale; meno slogan, più verbi; meno solitudini eroiche, più corresponsabilità.
Il titolo della lettera non cita un versetto biblico, né un classico della teologia. È una presa di posizione: parlare a tutti, con segni comuni e parole comprensibili. L’effetto domino è la visualizzazione di un movimento di comunione: ogni tessera rimanda all’altra, dipende dall’altra, sostiene l’altra.
L’immagine funziona, ricorda Torriani, solo se i tasselli sono allineati: da soli «non dicono niente». Dentro c’è già la diagnosi e la terapia: quando le comunità si mettono in linea con il Vangelo e tra di loro, la dinamica missionaria si accende.
«Il primo gesto missionario è vivere la comunione»
Questa frase, destinata a diventare la chiave di lettura del biennio della nostra Chiesa, attraversa tutta la lettera: non esiste annuncio credibile dove la vita dei cristiani smentisce l’annuncio.
L’effetto domino non è quindi solo un metodo ma un criterio di verità: se cade il primo tassello (la comunione), cade tutto il resto.
La struttura della lettera è snella (sei capitoli), ma volutamente progressiva: dalla sorgente teologica alla verifica concreta, fino ad aprire il raggio d’azione ai luoghi pubblici della cultura e della vita sociale. Di seguito, i passaggi essenziali.
Il Vescovo parte da una constatazione: la comunione è grazia prima che impresa.
«La Chiesa è luogo di comunione. Lo diciamo ogni volta che iniziamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
La sottolineatura è strategica: impedisce due derive ricorrenti — da un lato il funzionalismo (pensare che bastino riunioni, progetti e organigrammi); dall’altro lo spiritualismo disincarnato (confondere la grazia con una passività che rinuncia a organizzarsi). La comunione cristiana è dono che abilita la responsabilità: ciò che riceviamo diventa ciò che edifichiamo.
Il secondo capitolo innesta l’immagine del domino in una grammatica concreta: i “verbi” consegnati da Torriani il giorno dell’ingresso in diocesi come ossatura di un cammino. I verbi — che il vescovo chiama «mattoncini» — definiscono ritmo, timbro e stile della vita ecclesiale. Torriani indica azioni che formano abitudini.
Il terzo capitolo è la cerniera dell’intero documento:
«Da come celebriamo, si vede chi siamo».
L’Eucaristia genera la comunione e ne dà la forma. Di qui le priorità: qualità celebrativa, cura degli spazi, attenzione ai ministeri e agli operatori liturgici.
L’Arcivescovo non parla di estetica come lusso o spiritualismo, ma di segni accessibili e curati: una comunità “allenata” alla comunione comincia dal modo in cui si raduna e celebra. È un criterio anche pastorale: la bellezza liturgica non è optional, ma una lingua che rende credibile ciò che annunciamo.
Il quarto capitolo chiarisce il metodo: sinodale. Come abbiamo imparato insieme, si tratta di un processo, che vede alcune priorità per la nostra Chiesa: rimettere in moto gli organismi di partecipazione (Consiglio presbiterale, Consiglio pastorale diocesano), riallineare gli Uffici di curia alla loro funzione di servizio, riattivare luoghi in cui le decisioni non siano comunicazioni dall’alto, ma discernimento condiviso.
La sinodalità, insiste Torriani, non si misura dal numero di riunioni, ma dalla qualità dell’ascolto e dalla trasparenza delle scelte.
Il quinto capitolo sposta l’attenzione su un terreno spesso sottovalutato: le parole. «Rivalità e pettegolezzi non sono neutri. Cambiare linguaggio è già conversione», afferma l’Arcivescovo, indicando un esame di coscienza tanto semplice quanto esigente: come parliamo tra noi, di noi, di “gli altri”? La conversione del linguaggio è il primo segnale pubblico di comunione.
Dentro questo quadro rientra la pietà popolare — feste patronali comprese — definita “realtà sorgiva”: tesoro da sostenere, educare, accompagnare. Non folklore, ma memoria viva in cui il popolo riconosce il Vangelo con i propri simboli.
Ultimo movimento: uscire. «Scuole, università, luoghi di cultura laica: vere palestre di dialogo». La missione non coincide con l’occupazione di “spazi religiosi”, ma con la presenza credibile nei luoghi comuni della città, «dove si pensa, si studia, si lavora». E la credibilità — ripete l'Arcivescovo — non si improvvisa: nasce da comunità che vivono ciò che dicono.
Nel dialogo pomeridiano con i giornalisti, Torriani ha indicato la formazione come cantiere prioritario:
«A tutti i livelli: biblica, liturgica, pastorale e alla Dottrina sociale della Chiesa. Servono cristiani capaci di pensare, dialogare, progettare».
Non si tratta di moltiplicare corsi e eventi, ma di stabilire una cultura comune: il Vangelo pensa e educa al pensiero. La formazione, assicura Torriani, è la base per servire la città con intelligenza sociale e competenza evangelica: senza di essa, ogni discorso sulla missione «si costruisce sul nulla».
Alla domanda dei giornalisti sulle “risorse umane” (preti pochi o tanti?), la risposta del Vescovo sposta la prospettiva: «Il problema non è se mancano i preti, ma se mancano i cristiani. È nell’alveo di una Chiesa viva che nascono le vocazioni — sacerdotali, religiose, matrimoniali». Più che la contabilità delle presenze, conta la qualità contagiosa della fede: «La forza del Vangelo è qualitativa, è contagiosa».
Per dare segni coerenti con le linee tracciate, l’Arcivescovo ha annunciato alla fine della celebrazione eucaristica di avvio dell'anno pastorale, le nomine dei nuovi Vicari episcopali e la costituzione del Consiglio episcopale, che si riunirà con l’Arcivescovo come strumento operativo per il discernimento e il governo condiviso.
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