Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. (Rm 5,1-9)
Per aiutarci a vivere il Giubileo del 2025, papa Francesco ha scelto una frase tratta dalla Lettera ai Romani: «Spes non confundit» - «la speranza non delude» (Rm 5,5).
Il tema della speranza, profondamente radicato nella teologia paolina, sarà al centro della nostra vita ecclesiale, in questo tempo segnato da incertezze e timori.
Il Giubileo diventerà così un annuncio e un servizio al mondo, indicando la forza rinnovatrice della speranza proprio quando sembra inesorabilmente spegnersi.
Diamo uno sguardo al tema della speranza nel contesto della lettera ai Romani. Uno dei temi fondamentali del testo è la giustificazione per fede. Nel corso della lettera, Paolo chiama peccato uno stato di lontananza da Dio nel quale tutti, inizialmente, ci troviamo. E chiama giustificazione la risposta di Dio a questa condizione in cui si trova l’essere umano: un dono gratuito, reso possibile dalla pasqua di Gesù e disponibile per tutti attraverso la fede in lui.
Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. (Rm 3,21-22)
Si tratta, quindi, dell’agire salvifico di Dio per noi, che ha il suo culmine nella morte e risurrezione di Gesù, che apre una via nuova alla nostra esistenza, finalmente riconciliati con Dio e tra di noi. Essere giustificati da Dio non esaurisce il suo agire salvifico. Vi è un cammino di trasformazione, di maturazione interiore, di santificazione, che si realizza quando viviamo la vita nuova in Cristo, non lasciandoci dominare dal peccato e ricadendo, di conseguenza, nella situazione precedente, ma lasciandoci guidare dallo Spirito (Rm 8).
In Rm 5,5 l’apostolo afferma la qualità singolare della speranza cristiana: non si tratta di una vaga attesa, ma di una certezza fondata sull’amore di Dio, effuso nei cuori dallo Spirito Santo. La speranza appartiene a un nuovo modo di stare al mondo, basato sulla consapevolezza dell’amore di Dio, già presente nella vita del credente, sempre da alimentare perché si sviluppi pienamente. È bello ricordare che quel «confundit» è la traduzione del greco «kataischýno», che significa «non svergogna» o «non umilia».
Nello stesso passaggio della lettera, Paolo collega la speranza alla tribolazione: «Ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5,3-4). In modo paradossale, Paolo afferma che le difficoltà non annullano la speranza, ma la rafforzano. Questo modo di leggere la storia è possibile soltanto rivolgendo lo sguardo alla croce di Gesù Cristo, fulcro di tutto il discorso paolino.
In un mondo segnato da crisi e conflitti, il messaggio di Paolo assume una rilevanza particolare. La speranza cristiana, radicata nell’amore di Dio, non è una fuga dalla realtà, ma una prospettiva che permette di affrontare le sfide con coraggio e fiducia.
Papa Francesco ha definito la speranza un diritto fondamentale di ogni credente. Il motto scelto per il Giubileo diventa così un invito a testimoniare questa certezza, irradiando la luce della risurrezione di Cristo in ogni ambito della vita.
La speranza, così configurata, non si limita a guardare al futuro, ma opera nel presente. Spinge le persone a non cedere di fronte alle difficoltà, ma a interpretarle come tappe di un cammino. Quando una persona spera, non si limita a desiderare passivamente un cambiamento, ma si dispone ad agire per renderlo possibile.
Sperare non significa sminuire la realtà del male, ma farsene carico, cercando di dare un senso di bene ad ogni passaggio della storia. È la capacità di non rassegnarsi, non cedere alla lamentela inconcludente, per cercare la luce oltre l'oscurità, perseverando, con la fiducia che ogni prova, per quanto dura, possa essere superata.
Questo è vero anche a livello sociale. Quando una comunità deve confrontarsi con una crisi, la speranza diventa una risorsa indispensabile. Le persone che, insieme, mantengono viva la fiducia in un superamento della crisi, si pongono come ispirazione positiva anche per coloro che le circondano. Questo contagio della speranza (Papa Francesco) può trasformare situazioni apparentemente insuperabili, creando le condizioni per cambi di direzione anche di notevole rilevanza storica.
Di conseguenza, la speranza non è un atteggiamento passivo. Al contrario, sollecita l’impegno, la partecipazione consapevole ai processi di trasformazione. Una persona che spera è anche una persona che agisce, che traduce i suoi desideri in progettualità. Sperare in un mondo più giusto significa contribuire a costruirlo.
In questo senso, la speranza è strettamente legata alla responsabilità. Sperare, proprio in quanto dono di Dio, non significa attendere passivamente un cambiamento imposto dall’alto ma compiere un atto di fiducia nell'essere umano e nella sua capacità di migliorare se stesso e il mondo. È Dio che mostra di avere fiducia in noi. La celebrazione del mistero del Natale, con cui si apre l’anno giubilare, ci ricorda proprio questa concezione profondamente cristiana del rapporto tra Dio e uomo: Egli si fida di noi, la sua presenza in mezzo a noi è orientata a risvegliare in noi tutte le potenzialità della nostra umanità, che, abitate dalla grazia, fioriscono e maturano fino a raggiungere "la misura della pienezza in Cristo" (Ef 4,13).
Sebbene la speranza abbia una forte dimensione personale, esiste una dimensione comunitaria della speranza. La speranza cristiana è sperare insieme. La Chiesa è la compagnia della fede che spera, un'amicizia in Cristo, radicata nella fede, in una visione comune che permette di superare divisioni e individualismi.
La speranza, quindi, è un aiuto a superare quella tendenza all’individualismo tipica della nostra epoca, alla frammentazione della società che ci condanna alla solitudine, e anche a quegli “individualismi collettivi” che oppongono i gruppi umani tra loro e non di rado si trasformano in conflitti aperti e distruttivi.
Noi cristiani parliamo della speranza con di una virtù teologale. Come abbiamo già accennato: dono di Dio, compito per noi. Come tale, la speranza richiede da parte nostra esercizio e pratica. Quello della speranza è un atteggiamento che si sviluppa nel tempo, attraverso l'esperienza la riflessione, l’agire. In questo senso, la speranza è una scelta consapevole.
Essere pellegrini di speranza significherà, così, coltivare una visione evangelica della vita, gioiosa e improntata alla fiducia, anche quando le circostanze spingono in altra direzione. Richiederà pazienza, perché i cambiamento significativi e duraturi non avvengono immediatamente, e perseveranza, perché il cammino verso il futuro è accidentato. Richiederà il ritorno costante alla sorgente della vita di fede, che è l’esperienza della pasqua di Gesù Cristo, nostra speranza.