Carissimi, con profonda commozione ho appreso della tragica morte di un giovane di appena ventidue anni, avvenuta a seguito di un grave episodio di violenza.
In questo momento di dolore, desidero farmi vicino a voi, alla famiglia di Filippo, agli amici e a tutta la comunità di Isola Capo Rizzuto. Da cristiani, il nostro primo sentimento è quello della preghiera e della vicinanza: accompagniamo questo ragazzo nel suo incontro con il Signore della vita e sosteniamo con affetto la sua famiglia, che nel dramma della perdita ha avuto la forza e la generosità di donare gli organi del figlio, aprendo così un varco di speranza per altre vite. È un segno luminoso di amore, che ci commuove e ci interroga.
Eppure, in questa tragedia, c’è un monito che risuona forte: non lasciamo che la violenza diventi la grammatica della vita dei nostri ragazzi! Non sia la sopraffazione a scrivere i loro giorni. Qui, nel cuore delle nostre strade, possiamo coltivare un linguaggio diverso e più alto: un linguaggio fatto di pace, rispetto, solidarietà, ascolto, e autentica amicizia.
Dobbiamo essere artigiani di relazioni fraterne, maestri di comunità che tessono legami veri e costruiscono ponti dove prima c’erano muri. Non possiamo pregare per la pace nel mondo se non iniziamo, concretamente, a costruirla nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nelle nostre relazioni.
Alla cultura della sopraffazione e della forza dobbiamo contrapporre percorsi educativi e relazioni autentiche, capaci di mostrare ai giovani che esistono strade diverse, fatte di amicizia, rispetto, solidarietà e fraternità. E qui gli adulti devono giocare un ruolo decisivo: devono essere coraggiosi nella fraternità e saper diventare passatori di vita e non di morte.
La violenza non è forza: è codardia. È la scelta di chi non ha parole, e allora alza le mani. È il rifugio sterile di chi non sa affrontare la fatica del dialogo e della relazione. È la maschera amara di un vuoto che non conosce altro linguaggio che quello del colpire. A questa codardia dobbiamo, appunto, opporre un’altra via: il coraggio della fraternità e della vita. Il coraggio di chi non si lascia vincere dall’odio, ma osa amare. Il coraggio di chi non stringe il pugno, ma tende la mano. Il coraggio di chi non calpesta, ma rialza. Il coraggio di chi non spegne, ma custodisce la vita, sempre, in ogni sua forma. Questo coraggio è la vera forza dei giovani e degli adulti, la forza di una comunità che non si arrende alla logica della sopraffazione, ma sceglie di essere artigiana di relazioni fraterne. È il coraggio che Papa Leone ci ha ricordato con parole semplici e potenti all’inizio del suo pontificato: “Fratelli, sorelle, questa è l’ora dell’amore!”. E l’ora dell’amore è sempre anche l’ora della responsabilità.
Non possiamo continuare a pregare per la pace nel mondo se non impariamo a costruirla nei nostri quartieri, nelle nostre famiglie, nei nostri rapporti quotidiani. È qui che comincia il Vangelo della pace: nelle scelte di ciascuno, nell’educazione dei nostri ragazzi, nel rifiuto di ogni gesto che sa di odio.
Diciamo allora con forza: no alla codardia della violenza, sì al coraggio della fraternità e della vita. Che questo dolore non scivoli via come una notizia tra le tante, ma diventi un segno che ci cambia, un impegno che ci rinnova, un cammino che ci rende popolo capace di amore. A noi adulti è chiesto di essere, ancor di più, artigiani di relazioni fraterne, passatori di vita responsabili e intelligenti, capaci di costruire convivenze accoglienti e non lasciarci vincere dall’indifferenza o dalla rassegnazione.
Nella vicinanza rinnovata a chi sta soffrendo in questo momento la preghiera che rivolgiamo al Signore, per intercessione della Madonna Greca, è che accolga Filippo nella sua pace e doni a tutti noi di essere strumenti di riconciliazione e di fraternità.
Vi benedico di cuore.
+Alberto, arcivescovo
Crotone, 21 agosto 2025