“Forte è il suo amore”. L’arcivescovo Alberto Torriani celebra il suo venticinquesimo anniversario sacerdotale nella concattedrale di Santa Severina


Martedì 10 giugno, nella concattedrale di Santa Severina, il nostro arcivescovo Alberto Torriani ha ricordato i 25 anni dalla sua ordinazione presbiterale, avvenuta nel 2000, in un altro Anno Santo, il grande Giubileo dell’Incarnazione. La celebrazione è stata semplice e raccolta, alla presenza di una folta rappresentanza del Presbiterio diocesano.

Non un traguardo, ma un dono

Fin dalle prime battute della sua omelia, l’arcivescovo ha chiarito il tono del suo ricordo: non una celebrazione personale, ma un’occasione per riconoscere un dono. “Non celebro un traguardo, ma un dono ricevuto. Un dono immeritato, fragile e potente insieme”.

L’anniversario è occasione per leggere la fedeltà di Dio nel presente e invito a un servizio sempre nuovo. “Nel nuovo Giubileo del 2025 – ha detto – il Signore ha compiuto in me un altro passo chiamandomi all’episcopato. Non so spiegare questa scelta, e forse non devo: è il dono più grande che potessi ricevere, non come onore, ma come nuovo modo di servire”.

Un amore forte, che sostiene e rialza

Richiamando il motto scelto nel giorno dell’ordinazione – “Forte è il suo amore” (Sal 117) – l’arcivescovo ha fatto memoria di quanto, negli anni, quelle parole abbiano assunto spessore e verità. Non più soltanto lo slancio emozionale di un giovane prete, ma l’espressione di una realtà provata nella carne e nello spirito: è solo l’amore fedele del Signore a sostenere il cammino, a rialzare nei momenti difficili, a illuminare la strada.

Nel suo discorso ha citato con gratitudine anche il cardinale Carlo Maria Martini, che lo ordinò sacerdote e nel cui pensiero continua a ritrovare luce e conforto. “C’è bisogno di preti che siano compagni di viaggio dei loro contemporanei, che consolino e confortino, ma anche inquietino le coscienze proponendo con coraggio i valori del Vangelo”.

Sale e luce: una presenza che cambia le cose

Il vescovo ha meditato sulle parole del Vangelo proclamato nella liturgia: “Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13-14). Due immagini semplici eppure radicali. “Il sale dà sapore alle cose, ma per farlo deve scomparire. La fede, allo stesso modo, è significativa quando silenziosamente cambia il sapore del mondo”. Il cristiano – e tanto più il prete – è chiamato a non lasciare le cose come sono, ma a trasfigurarle, a renderle più vere, più belle, più buone. E la luce? “In sé è invisibile, diventa visibile solo quando rivela qualcosa. Così deve essere la testimonianza cristiana: capace di rivelare la bellezza nascosta delle persone, delle storie, delle comunità”.

Un richiamo a tornare al cuore della vocazione: essere uomini capaci di mostrare che Dio è vicino, che la vita ha un gusto, che il cammino ha una direzione: “Senza questa consapevolezza, si rischia di diventare solo funzionari del sacro, insapori e spenti”.

Un invito alla comunione e alla preghiera

L’omelia si è conclusa con un invito semplice ma profondo rivolto a tutti: “Pregate con me, perché il dono ricevuto da ciascuno di noi non diventi mai possesso, ma rimanga sempre gratitudine viva, servizio umile, luce che rimanda a Lui”.

Si è trattato di una condivisione autentica: un frammento di diario spirituale che si è fatto preghiera comunitaria. I presenti hanno accolto con affetto il racconto di un fratello nella fede, chiamato ad esprimere con la sua vita la paternità di Dio, che si è offerto come testimone, non di se stesso, ma del Vangelo che continua a trasformare la vita.

“È il ‘sì’ del Signore a precederci. Quel sì che non cambia con le stagioni della vita, ma si mostra più che mai affidabile e credibile … quando ti imbatti in una cosa vera, la dici. Quando ti imbatti in una cosa bella, la racconti”. Ed è questo che si è fatto nella celebrazione: racconto di una bellezza che dura, e promessa di un cammino ancora aperto.